TRACCIA N.5 (PENALE)

Livello difficoltà    ★★★✩✩

Reato di molestia: si configura anche in caso di invio di messaggi tramite WhatsApp, nonostante l’applicazione permetta in qualsiasi momento di bloccare il mittente?

Tizio, frequentava abitualmente il bar situato nei pressi della propria abitazione.

In tale caffetteria, conosceva Caia la quale prestava attività lavorativa in qualità di banconista.

Tizio, con un pretesto, riusciva ad ottenere il numero di cellulare della ragazza.

Quindi, nei giorni successivi le inviava continuamente messaggi tramite l’applicazione WhatsApp.

Caia, inizialmente, rispondeva educatamente ai messaggi; tuttavia, dopo qualche giorno lo invitava a non contattarla più, minacciando di bloccare il suo contatto.

Per contro, Tizio continuava ad inviare numerosi messaggi che apparivano petulanti e sfacciati.

Caia, turbata da tale situazione, non rispondeva più ad alcun messaggio di Tizio.

Infine, infastidita dalla sua continua insistenza, si rivolgeva alle autorità competenti e presentava regolare denuncia/querela contro di lui.

Dunque, Tizio si reca dal proprio legale di fiducia al fine di essere reso edotto in ordine alle possibili conseguenze penali della propria condotta.

Il candidato, assunte le vesti dell’avvocato di Tizio, rediga parere motivato individuando la questione giuridica sottesa al caso in esame.

SOLUZIONE SOMMARIA

Giova, anzitutto, premettere che ai fini della configurabilità del reato di molestia un atto deve non soltanto risultare sgradito a chi lo riceve, ma dev’essere anche ispirato da riprovevole motivo o rivestire il carattere della petulanza.

Si tratta di un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire nella sfera privata di altri attraverso una condotta fastidiosamente insistente e invadente.

Orbene, l’art. 660 c.p. prevede che la molestia può essere posta in essere sia in un luogo pubblico o aperto al pubblico che col mezzo del telefono.

In particolare, il mezzo telefonico assume rilievo ai fini dell’ampliamento della tutela penale proprio per il carattere invasivo della comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi, se non disattivando l’apparecchio telefonico.

La comunicazione telefonica comporta, infatti, un’immediata interazione tra il chiamante e il chiamato e una diretta intrusione del primo nella sfera delle attività del secondo.

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che al termine telefono, va equiparato qualsiasi mezzo di trasmissione, tramite rete telefonica e rete cellulare delle bande di frequenza, di voci e di suoni imposti al destinatario, senza possibilità per lo stesso di sottrarsi all’immediata interazione con il mittente.

Dunque, ciò che rileva è l’invasività del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario dell’azione perturbatrice che può avvenire tanto con messaggi che con chiamate.

Difatti, anche i messaggi sono idonei a mettere a repentaglio la libertà e la tranquillità psichica del ricevente.

In particolare, l’esito della condotta penalmente rilevante deve essere inquadrato nella percezione obbligata da parte del destinatario del ripetuto avvertimento acustico dei messaggi ricevuti.

Il carattere invasivo è rappresentato, altresì, dalla percezione immediata e diretta del suo contenuto, attraverso l’anteprima di testo che compare sulla schermata di blocco.

Peraltro, il distinguo tra messaggistica istantanea (WhatsApp) e messaggi di testo telefonici (Sms) non ha ragion d’essere, sia l’una che gli altri potendo realizzare in concreto una diretta ed immediata intrusione del mittente nella sfera delle attività del ricevente.

In definitiva, ciò che rileva è l’invasività in sé del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario; non la possibilità per quest’ultimo di interrompere l’azione perturbatrice, già subita e avvertita come tale, ovvero di prevenirne la reiterazione, escludendo il contatto o l’utenza sgradita senza nocumento della propria libertà di comunicazione.

Alla luce di quanto esposto, si deve concludere che nel caso in esame Tizio con la propria condotta insistente ed invadente abbia configurato il reato di molestia.

Invero, i messaggi WhatsApp reiterati nel tempo, pur in difetto di risposta da parte di Caia avevano determinato un non trascurabile turbamento della serenità e della vita quotidiana della ricevente.

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